Roger Moore, un attore che per tutti rappresenta la quintessenza dello stile più british che esista, prima di essere Bond è stato per tutti noi Simon Templar, cioè “the Saint”.
Negli anni ’60 e primi ’70 in tele non c’era moltissimo: bianco e nero, i canali erano più o meno due (a meno di non essere fortunati e vedere Svizzera, Capodistria e Montecarlo) anche se la qualità media era nettamente superiore ai quella della robaccia che infesta i palinsesti di oggi.
In questo scenario potete collocare una serie di telefilm che cambiò più volte nome (il Santo, Simon Templar e Stop ai fuorilegge): 118 episodi divisi in 7 serie, 5 in bianco e nero e 2 a colori, caratterizzata da un’eleganza e da un sense of humour inconfondibili, precursore di James Bond e di Mission Impossible, tanto per citare due blockbusters.
Inutile dire che mia mamma era innamorata del fascinoso Roger, che come portava lo smoking lui…
Simon Templar, il ladro gentiluomo
Il personaggio è frutto della penna di Leslie Charteris che nel 1928 ne fa il protagonista di “Meet the Tiger” e di cinquanta titoli successivi, creando una sorta di eroe alternativo, moderno Robin Hood, giustiziere playboy che gira il mondo per salvare belle donne e rubare ai ricchi spernacchiando Scotland Yard.
Il soprannome “the Saint” deriva dal biglietto da visita che Simon lasciava sul luogo delle sue imprese che raffigurava un omino stilizzato con l’aureola in testa.
La versione televisiva è quella in cui si di più si accentua per Simon Templar il ruolo di paladino dal passato misterioso, che vive nel lusso pur non avendo natali nobili o facoltosi (da qualche parte i soldi saranno pure entrati, ma la fiction è solo fiction…).
Il personaggio ebbe un successo planetario, visti i numeri: oltre ai romanzi abbiamo anche una seconda serie TV (ovviamente “il Ritorno del Santo”) abbastanza da dimenticare, oltre che fumetti e, naturalmente, numerose trasposizioni cinematografiche, alcune anteriori alla versione di Roger Moore, due contemporanee (una sorta di episodi allungati) e quella successiva, penosa, con Val Kilmer nel ruolo del Santo, alla guida di una imbarazzante Volvo c70 rossa.
Simon e la Volvo P1800
La Volvo è una casa automobilistica non propriamente famosa nella storia per la bellezza e l’eleganza delle sue auto sportive.
Se pensate ad una Volvo storica, beh, quale se non la giardinetta dei professori radical-chic dei film americani oppure le celebri 740 e 760 station-wagon dei cumenda anni’ 80.
Insomma, non stiamo parlando di Aston Martin…ma la coupé di Simon Templar, beh, è un esempio preclaro di eleganza coniugata alla sportività, con una classe molto british che si sposa perfettamente al personaggio.
Non per niente, comunque, il design era made in Italy by Ghia e le linee, con le famose pinne posteriori, richiamano gli stilemi delle auto “all’americana” di quegli anni con una fusione veramente equilibrata e affascinante, sposata ad un motore con un centinaio di cavalli, più che soddisfacente per il peso della berlinetta in questione.
Inutile dire che, grazie ai telefilm, il successo sul mercato U.S.A. fu notevole, mentre in Europa fu accolta con meno squilli di tromba (a Milano diciamo “ufelè fa il to misteè”…).
Tutto sommato ebbe più successo la shooting-brake, o giardinetta da caccia, derivata dal coupé e inserita successivamente nella gamma.
Stiamo parlando comunque di un vero oggetto di culto, tanto che nel 2013 l’originale, che stava marcendo in una garage abbandonato, è stato recuperato e restaurato da un appassionato entusiasta che a tutt’ oggi ci ha già percorso più di un milione di chilometri.
Se non è fedeltà questa…
ABOUT THE SAINT
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