La tribù dei guzzisti è composta da guerrieri invincibili, fedeli alla tradizione, tendenzialmente non si mescola con le altre e non accetta compromessi: due cilindri a V frontemarcia, cardano e stop.
Se pensi Moto Guzzi automaticamente pensi V7 , magari sport, magari verde, al massimo bianca.
È difficile convivere con una leggenda dell’ ingegneria motociclistica mondiale e in Guzzi ci stanno provando, cavalcando l’onda della nostalgia, ma con risultati controversi.
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La leggenda di Mandello del Lario
A Mandello nel 1970 si pensava in piccolo, ormai: scooter, motorette da città o turismo leggero, roba da poco.
Ma il successo mondiale delle maxi moto spinse la nuova dirigenza (figlia dell’ IMI parastatale, incredibile!) a pensare in grande con un nuovo motore, il sopracitato bicilindrico a V frontemarcia raffreddato ad aria, un piccolomcapolavoro di ingegneria meccanica per quell’epoca.
La Moto Guzzi V7 Sport fu presentata al pubblico durante il Salone del motociclo di Milano del novembre 1971, suscitando un grande interesse tra gli addetti del settore e i semplici appassionati.
Posta finalmente in vendita nel gennaio 1972, la “V7 Sport” divenne immediatamente il modello di riferimento per la produzione mondiale, nel settore delle moto dedicate al turismo sportivo, grazie alle caratteristiche di stabilità, velocità e robustezza, decisamente superiori ai modelli delle case concorrenti di quegli anni.
Ma non molti si ricordano della collaborazione allo sviluppo data dal leggendario Jarno Saarinen e del leggendario terzo posto al Bol D’Or del 1971 contro i mostri giapponesi.

1971 Hailwood prova Guzzi V7 Sport a Monza
V7 Sport, un successo italiano
Motociclismo fece una delle sue spettacolari prove comparative (fra i tester c’era Mike Hailwood) nella quale la V7 Sport le mise in fila tutte, compresa la celebratissima Kawa 750 Mach 2, all’epoca stato dell’arte della cilindrata.
Apriti cielo… boom di ordini che Guzzi fece fatica a soddisfare, il tutto con un volgarissimo freno a tamburo anteriore e delle rifiniture veramente imbarazzanti: ma chi aveva il manico voleva il “bassotto” che dava la paga a tutti e a tutte.

La prima versione col telaio in tubi rossi
Nel 1974 esce la V7 sport S, col doppio disco davanti, finalmente, ed è ancora un successone, non replicato dall’ultima serie, dotata dell’impianto frenante integrale che non “rendeva” in pista.
La logica industriale del gruppo De Tomaso ne decretò una fine prematura, lasciando un numero enorme di estimatori che ne fecero un “pezzo” ricercatissimo dai collezionisti.
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L’erede inadeguata
La V7 di oggi, beh, che dire, è una motocicletta onesta, ottima per chi vuole una moto per tutti i giorni, esteticamente gradevole e dalle finiture sinceramente migliorabili.
La V7 sport aveva 72 cavalli a 7000 giri e pesava 225 chili, la attuale V7 III serie ne ha 62 a 6200 giri e pesa circa 200 chili, quindi le ragazze sembrano paragonabili, ma il comportamento su strada della nuova è quello di uno scooter, affidabile, sicuro, ma non certo foriero di emozioni per il centauro più smanettone.
D’altronde 72 cv del 1972 erano un punto di arrivo, oggi sono si e no una onesta base di partenza.
Ma in Moto Guzzi non si voleva certo creare una belva da circuito, quanto solleticare i ricordi di una banda di appassionati fedeli al marchio.
La V7 terza serie ha comunque una serie di caratteristiche positive: è una motocicletta essenziale, pulita, che mette in evidenza un propulsore con una architettura epica, che ha fatto la storia ed è un’ottima base per ogni sorta di customizzazione: potremmo definirla la Bonneville italiana.
Molto carine le versioni speciali, Carbon, Milano e Rough, rispettivamente sportiva, elegante e scrambler, per cui concedo ai ragazzi di Mandello di chiamare una loro creatura “ruvida”, anche se di ruvido ha veramente poco…
GIOCATE, OGNI TANTO…
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