Io non amo le cravatte. Penso che limitino l’afflusso di sangue al cervello: una delle conquiste più importanti della mia vita è stata poterne fare a meno.
C’è un grosso “però” in questo ragionamento: innanzi tutto ci sono occasioni nelle quali l’etichetta richiede di stringersi un nodo al collo, per cui il gentiluomo non può esimersi e poi, diciamocelo francamente, a volte ti può pungere vaghezza di cambiare il tuo look arricchendolo con la cravatta adeguata.
LA CRAVATTA HA IL SUO BEL PERCHÈ
Le origini della cravatta si perdono nella notte dei tempi, ma per comodità si codifica l’origine nella cosiddetta “sciarpa croata”, indossata appunto dai mercenari croati nella guerra dei trent’anni, dalla quale presero spunto i sarti di Parigi, allora capitale della moda.
Nei secoli ha sempre richiamato formalismo ed eleganza, oltre che, a sentire l’amico Sigmund, virilità, dato che, comunque, entra in tutte le uniformi militari da cerimonia.
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Comunque sia, se decidete di mettervela al collo, la cravatta vi dà sicuramente un che di professionale o di elegante, oltre che un plus di autorevolezza o potere (abbiamo parlato di virilità, no?) che però svanirà all’istante se aprite bocca e dite fesserie, oppure vi rovesciate il martini addosso: una cravatta non vi trasformerà in James Bond o in Briatore, che, per inciso, non la porta mai.
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QUALE CRAVATTA E PER QUALE OCCASIONE?
Punto primo: le cravatte non sono tutte uguali.
Il volume è molto importante e tende a seguire le tendenze del momento, anche se la cravatta classica non è mai né troppo larga né troppo stretta: attualmente le dimensioni si sono abbastanza ridotte, ma non troppissimo …
Questo significa che, tralasciando volutamente frac, tight e smoking, l’occasione più formale tendenzialmente richiede una cravatta scura, tinta unita o con una fantasia discreta, chessò un pallino, magari in nuance, o bianco su blu.
Formale non significa necessariamente elegante, formale è una riunione del CDA, elegante è un dinner party a casa della contessa Mazzanti Vien Dal Mare, che ha un dress code sicuramente meno vincolato, per il quale è ammessa una certa stravaganza e/o personalizzazione.
Tradotto in soldoni, cravatta sì ma fantasia al potere, col solo vincolo di creare un match plausibile con camicia e abito.
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IL COLORE, SPECCHIO DELL’ANIMA.
Se le scarpe distinguono il vero gentiluomo, la cravatta è la cartina di tornasole del suo stato d’animo e del suo atteggiamento verso l’occasione, che sia ironico o arrogante, rilassato o aggressivo.
A me piacciono i colori tenui in generale, ma anche una bella cravatta arancione ha il suo perché, se si sposa bene con il contesto generale, così come una fantasia stravagante o inconsueta, del tipo gattini e mottarelli.
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IL NODO, UN OCEANO SCONFINATO
Ho letto da qualche parte che esistono 85 tipi di nodi, ma il numero, essendo legato alla fantasia dei fashion victims, è destinato a salire: francamente me ne infischio.
A me basta saperne fare bene uno, che ho scoperto essere il cosiddetto nodo “four in hands “, o tiro a quattro, con la pieghettina in mezzo. Di più non pretendo e questo è il mio personalissimo consiglio: uno, ma fatto bene, a memoria. Non c’è niente di più pietoso di un gentiluomo che si fa annodare la cravatta dalla mamma o dalla moglie…o ad una festa trova il solito stronzo che ti mette la mano al collo e ti aggiusta il nodo!
Tenete presente poi che le cravatte risentono dell’usura e uno dei segni rivelatori che la vostra sta tirando le cuoia è che non “tiene” più il nodo.
Per cui non voglio sentire scuse: dovete sapervi fare il nodo come un Marine sa smontare e rimontare il suo M16, anche al buio, sotto il fuoco dei cecchini somali!
LA GRIFFE, OCCHIO A NON ESAGERARE
Odio le cravatte con il brand dello stilista in evidenza, niente di più kitch e repellente, con pochissime eccezioni, due su tutte: Hermes e Gucci.
Hermes è, semplicemente, LA cravatta, per la qualità della seta, le fantasie e i colori e il suo logo. La sua celeberrima sella e simbologia equestre nobilitano sempre quel fantastico e costosissimo pezzettino di stoffa.
Per Gucci vale più o meno lo stesso, con le due G, la staffa e il rosso/blu anche in evidenza per i quali ormai non si scandalizza più nessuno anche se, ultimamente, la maison fiorentina flirta un po’ troppo con i rapper americani, dimenticando a volte le proporzioni e il buon gusto che l’hanno sempre caratterizzata.
Menzione d’obbligo per la cravatta napoletana per eccellenza: Marinella. Altra eccellenza italiana, passione di mio padre, naturalmente di maglina di seta, naturalmente minimalista e chic, anche nei nuovi abbinamenti di colore più audaci.
Un’altra maison che fa cose molto belle è Altea, specializzata nella seta, sempre cool con quei colori tenui e le sue fantasie naturali che comunicano eleganza e sobrietà, coniugata con una certa stravaganza.
Se il budget non vi consente questi esborsi, cercate un prodotto cento per cento italiano, magari comasco. Toccatela, valutate la consistenza e occhio alla fodera: che sia ben cucita. Di sicuro farete un buon investimento senza spendere una follia
IL GUARDAROBA DEL GENTILUOMO
Fin qui tutto ok. Ma quante cravatte deve possedere un gentiluomo?
Dipende, ovviamente, da quanto le usa e se il dress code del suo lavoro le richiede.
In tale caso, almeno cinque o sei da far ruotare, più un paio per le occasioni particolari, di cui abbiamo già parlato, altrimenti bastano due o tre per quando l’outfit lo richiede.
E il papillon? A meno che non siate avvocati partenopei, giornalisti d’assalto o critici d’arte con la faccia adeguata, io mi asterrei, onde evitare imbarazzanti somiglianze con Roger Rabbit o Buster Keaton.
Una raccomandazione: le regimental lasciatele agli inglesi, a meno che non facciate parte di un reggimento di dragoni di Sua Maestá, così come evitate le “cravatte sociali” fuori contesto, altrimenti è garantito l’effetto “Alberto Sordi con ‘a cravatta da’ Lazio”…
