Passano gli anni, passano trend e must-have, ma il milanese, che sia imbruttito o meno, non rinuncia al suo Valstar nelle mezze stagioni.
Il “valstarino” è la soluzione ideale per il weekend a Santa, l’aperitivo “non ufficiale” e i quattro passi a Brera (se non piove…)
Il Valstar, un giubbotto senza tempo
Se ci fosse qui il Dogui buonanima vi direbbe: “uei animali ma vi devo spiegare cos’è il Valstar? scendete dalla pianta!”
Allora, per i pochi novizi che non conoscono ancora le regole base del savoir vivre: dicesi Valstarino un gubbino in pelle scamosciata con polsi, collo e cintura in maglia, allacciatura con bottoni e due tasconi applicati esternamente, usualmente (ma non necessariamente) color tabacco, blu, avana o beige, punto.
Ma qual’è la storia di questo piccolo capolavoro della moda italiana?
Valstar, since 1911
La Valstar nasce a Milano nel 1911 su iniziativa di una società britannica, la Mandleberg, che dà vita alla English Fashion Waterproof.
L’obbiettivo era coniugare praticità e know-how british con eleganza italiana, lanciandosi in competizione con aziende consolidate come Barbour .
Al di là e oltre i suoi famosi trench, Valstar nel 1935 inventa ex novo quello che diventerà un’icona della moda maschile. il celeberrimo Valstarino, che abbiamo ampiamente descritto, derivato da un giubbotto per l’aviazione militare, il diffusissimo A1, in dotazione alla U.S. Airforce nel 1927.
Concepito originalmente in pelle di camoscio (un animale allora non protetto dalla legge) è stato realizzato praticamente in tutti i materiali e tessuti immaginabili, ma la versione in vitello scamosciato è quella che non è mai uscita dai nostri armadi.
Il Valstar è chic e non impegna
Come ho già detto, il Valstarino è il principe delle mezze stagioni, anche se i meno freddolosi posso ostentarlo anche con i rigori invernali, a patto di mettergli sotto un bel 4 fili, magari Druhmor, magari a trecce.
Sta bene con tutti i pantaloni sportivi, dal jeans al velluto a coste, e non stona con una polo o con una camicia bianca, passando per un dolcevita colorato (il Dogui lo avrebbe portato con un foulard o un cache-col)
Comunque il Valstarino è probabilmente il giubbotto che vanta più tentativi di imitazione della storia, per cui il problema del budget si risolve facilmente.
I più esigenti, ovviamente, vorranno l’originale e saranno disposti a spendere quei cinquecento euretti richiestai per entrarne in possesso, magari recandosi nel flagship store di Milano in Viale Elvezia, 11.
Per tutti gli altri ci sono innumerevoli possibilità, con alcuni distinguo e raccomandazioni.
Innanzi tutto il materiale: premesso che il camoscio non esiste in commercio, il vitello scamosciato (o rovesciato) è la prima scelta, dopo c’è la capra, più “pelosa” e meno regolare, ruvida insomma e poi il maiale, più rigido e irregolare, con il poro della pelle in evidenza.
Possono sembrare tecnicismi, ma la resa e il look sono totalmente diversi e fanno la differenza.
Poi un occhio alla vestibilità: oggi si porta un fit asciutto, pancia permettendo, anche per un capo classico come questo, che non va assolutamente rimborsato come negli anni ’80, altrimenti sembra la giacca tirata fuori dall’armadio del nonno.
Detto questo, siete liberi di comprarlo a 79 euro all’IPER in offerta speciale e sembrare dei cinesi…
