Alzi la mano come al solito chi da bambino non si è visto schiaffare addosso un Montgomery per andare a scuola, con tanto di pappardella esplicativa materna o paterna.
Il colore spaziava dal blu al beige passando per il grigio, non proprio il massimo per un ragazzino, ma in cambio ti dicevano che quella pesantissima palandrana era stata indossata da un astuto e valoroso generale dell’esercito Britannico della seconda guerra mondiale…wow!
Perchè si chiama Montgomery?
Innanzi tutto chiamiamolo con il suo vero nome, cioè Duffle coat, e sottolineiamo che ha origini militari, come il trench, il bomber e la field jacket.
Il Duffle coat fa la sua prima comparsa nell’Inghilterra del 19º secolo quando la Marina Militare era alla ricerca di un nuovo cappotto per i suoi soldati.
Il modello viene commissionato per il suo design pratico e il tessuto duraturo e resistente all’acqua e il nome deriva dalla città belga di Duffel, a cui si fa risalire la sua lana spessa e idrorepellente.
Il suo taglio ampio era tale da permettere ai militari di portare sotto l’uniforme (i Montgomery di oggi hanno una vestibilità decisamente più slim), mentre l’allacciatura ad alamari e il cappuccio assicuravano calore e riparo dalle temperature gelide dei mari del nord e dell’Oceano Atlantico.
Inoltre, questo tipo di allacciatura rendeva molto più facile aprire e chiudere il cappotto anche con i guanti spessi, indispensabili sulle navi da guerra.
Il suo appellativo deriva però dal generale Bernard Law Montgomery, detto Monty, famosissimo comandante dell’ottava armata britannica, che si prese il lusso di sconfiggere nientepopodimeno che Erwin Rommel, la temibile Volpe del deserto.
Ovviamente nel deserto il dress code era differente, ma sugli Appennini nel ’43 o in Normandia nel ’44 faceva un gran freddo, per cui le foto di Monty col suo amato duffle coat sono diventate iconiche.
Dal D-Day al guardaroba
Al termine del secondo conflitto mondiale i capi in eccesso furono donati alla popolazione civile che così scoprì la praticità e, perchè no, lo stile di una giacca da marina come fece successivamente anche col peacot.
Nel 1950 una grande quantità venne offerta alla ditta Gloverall, che dopo averli distribuiti negli empori caccia e pesca o nei negozi di articoli sportivi, mise in produzione una linea di cappotti analoghi che ancora adesso gode di un enorme successo.
La qualità dei duffle coat della Gloverall rappresenta ancora un punto di riferimento per gli standard produttivi dei Montgomery.
Il Montgomery ha avuto momenti di estrema popolarità, specialmente nei ruggenti anni ’60, quando lo stile british invase il mondo, riproponendosi in seguito ogni volta che il brit pop faceva sentire la sua voce, come ai tempi dei fratellini Gallagher.
Ma una cosa è sicura: il duffle coat non è più uscito dai nostri armadi, soprattutto da quelli delle signore, modificando peso, vestibilità ,tessuti e accessori, abbandonando i classici bottoni di osso, poco animalisti e sposando la morbidezza dei tessuti odierni e volumi più contenuti.
Come lo indosso? quanto costa? mi sta bene?
Facciamola semplice: il Montgomery è un giaccone sportivo un po’ vintage che sta bene in pratica su tutto, tranne forse in abbinamento con un outfit molto formale, laddove anche il cappotto debba essere in evidenza.
A me piace lungo, pur non essendo io un gigante, ma una regola di base è che la versione tre quarti si adatti meglio a soggetti di statura medio/bassa, tipo me.
Però se un giaccone deve tener caldo, allora mi piace fino alle ginocchia, ma son gusti miei, l’importante è non sembrare una cassetta delle poste…
Per il colore fate voi, ma di sicuro, se avete il coraggio di portarlo, e un vero ruvido ne è dotato, un duffle coat sgargiante è una vera chicca.
Per il prezzo, lo potete trovare dai 100 euro in su, ma, vi raccomando, occhio al materiale, la lana è fondamentale, deve fare il suo sporco lavoro, cioè tenere caldo!
Meglio investire, come sempre, sulla qualità piuttosto che sull’etichetta (Burberry’s 1.300 euri anche no).
Consiglio: date un occhio all’outlet on line di Gloverall…sempre meglio l’originale, no?
