Gente Ruvida

Bruce Lee, l’icona pop delle arti marziali

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Doveva succedere ed è successo. Così come ho sentito un bisogno imprescindibile di parlarvi di John Belushi, adesso vi devo parlare di un altro totem dei miei anni più acerbi, il solo e unico Bruce Lee, il Piccolo Drago.

Forse vi ho già detto che mi muovo da sempre nel mondo delle arti marziali come praticante entusiasta (anche se ormai un po’ logoro) e di una sola cosa sono sicuro: la calamita che mi ha attratto in maniera irresistibile in questo mondo ha un nome e cognome: Bruce Lee.

Vi spiegherò cosa ha rappresentato e ancora rappresenta questo signore. Cosa non è stato ma soprattutto cosa realmente ha significato, non solo per il ristretto mondo delle arti marziali, ma soprattutto per la cultura “pop” mondiale dagli anni ’70 in poi.

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BRUCE LEE, IL FALSO MITO

Cosa non è stato Bruce Lee? Innanzi tutto non è stato un campione di arti marziali: non si hanno notizie di nessun torneo da lui vinto (tranne uno di pugilato occidentale di scarsa importanza).

Non lo si può neanche definire un grande maestro, un po’ per la giovane età, visto che ci lasciò a trentatré anni e non approfondì più di tanto nessuno stile, preferendo cercare una sua via personale.

Nemmeno lo si può considerare un grande attore, quanto piuttosto un discreto interprete di action movies, tipo Bruce Willis o Stallone, niente di che…

Ma allora, da dove nasce la leggenda? Perché la sua faccia e la sua tutina gialla sono diventate un’icona del ventesimo secolo?

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BRUCE LEE, L’INNOVATORE

Bruce Lee era un cinese col carisma, accidenti! A essere precisi non era un cinese, in quanto nato a San Francisco e cresciuto ad Hong Kong, ma è stato il primo asiatico (con un nome e cognome occidentali) ad avere un riconoscimento internazionale da superstar nel cinema, oltre che ad entrare nell’immaginario dei giovani degli anni ’70 alla stregua di un supereroe.

Una fama più che meritata, grazie ad una vita passata ad allenare il suo  corpo e la sua mente studiando e mescolando diverse arti Marziali, fino a fonderle nella sua personalissima sintesi, ma anche lavorando sulla produzione cinematografica sia come attore che come coreografo, aiuto regista e produttore.

Da lui in poi, il film di Kung Fu si trasformò in un vero action movie in stile Hollywoodiano, incentrato sul suo personaggio, un tipo tosto, figo, stiloso, con un look minimalista che ha fatto la storia del cinema: Tarantino gli deve metà dell’incasso di Kill Bill.

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BRUCE LEE, IL FILOSOFO

Ho detto che non era un grande maestro, ma questo non gli impedì di arrivare ad un livello altissimo di conoscenza delle arti marziali (fu anche il Personal coach di Steve MC Queen e James Coburn che ne portarono la bara a spalla) fino a creare il famoso Jeet Kune Do, la sua arte senza forma, esprimendo concetti che vanno oltre le mura di una palestra.

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Se vi dico “be water my friend” affermando la necessità di essere flessibili, adattandosi alle circostanze e ai mutamenti ambientali, non sto forse parafrasando Eraclito e Darwin o il Tao ?

Se invece dico “don’t touch, feel”, non vi sto invitando ad espandere la vostra conoscenza extrasensoriale? Considerando che si veniva dagli anni dell’LSD, il messaggio era piuttosto chiaro.

Ecco, immaginate l’impatto di un personaggio simile, con una fisicità devastante, in un decennio già assetato di misticismo come gli anni ’70 e preparatevi alla leggenda.

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BRUCE LEE, LA LEGGENDA

Cosa mancava? Certo, il mistero! A questo ha pensato la prematura fine di Bruce Lee, stroncato da un malore di incerta diagnosi, forse un farmaco, forse un veleno, forse semplicemente stress da superallenamento alla simbolica età di trentatré anni.

Di sicuro si era fatto tanti nemici, sia nel mondo delle major cinematografiche che in quello delle arti marziali, scatenando invidia e rivalità che, forse, gli sono costate care.

Peccato, davvero…chissà cosa ci avrebbe potuto dare ancora di nuovo, profondo e coinvolgente un uomo con una personalità così forte, il cui ricordo è ancora così vivo.

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BRUCE LEE, L’EREDITÀ

Magari sarebbe riuscito a canalizzare in una scuola la sua arte, permettendo a tutti di condividerla: quello che resta oggi del jeet kune do è solo un manuale con qualche istruttore più o meno accreditato, privo del suo carisma e del suo spirito.

Forse la sua filosofia e il suo stile di vita si sarebbero inseriti nell’occidentalizzazione avvenuta in Cina nel terzo millennio, contribuendo alla formazione di una nuova identità del popolo cinese, di cui lui stesso si riteneva, con orgoglio, un simbolo.

Io sono un praticante di Wing Chun Kung Fu, lo stile con cui Bruce Lee ha cominciato il suo cammino – e che più lo ha ispirato – e questo è un omaggio dovuto all’uomo che ha creato il mito di se stesso con maestria e umiltà, lasciando una traccia indelebile nell’immaginario collettivo dei ragazzi degli anni ’60  (e non solo…)

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